Stars: Persone


Stars intervista Jane Grammer

La nuova diversity and belonging champion di Dorchester Collection parla di inclusività,
empatia e condivisione dei valori 

Ciao Jane, parlaci un po’ del tuo lavoro e in che cosa consiste.

Ho il compito di elevare l’iniziativa Belonging, in linea con la filosofia
We Care di Dorchester Collection, attraverso la creazione di molteplici iniziative e programmi per continuare a integrare la cultura dell’inclusività e il senso di appartenenza all’interno dell’intera collezione. La filosofia
We Care, che riunisce i nostri Valori (Passione, Personalità, Rispetto, Lavoro di squadra e Creatività), ci consente di creare un ambiente di lavoro in cui i dipendenti si sentono accettati e apprezzati per quello che sono realmente. Dalla sicurezza di poter esprimere la propria identità emerge la creatività ed è proprio da quest’ultima che nascono le esperienze leggendarie per gli ospiti, ed è una delle ragioni per cui la diversità e il senso di appartenenza sono così importanti per noi.

A che punto è Dorchester Collection in fatto di diversità, equità e inclusione (DEI)?

Considerando che ci siamo incamminati in questo percorso oltre 11 anni fa, credo che le cose vadano incredibilmente bene. Abbiamo fatto un lavoro enorme in difesa dei diritti LGBTQIA+ in tutta la collezione e siamo incredibilmente orgogliosi di essere stati nominati diversity champion da Stonewall [ente di beneficenza britannico per i diritti LGBTQ+]. Io sono bisessuale, e quindi per me l’inclusività nei confronti della comunità LGBTQIA+
è una priorità.

Per quanto riguarda le pari opportunità, la rappresentanza di genere nell’executive team è 50/50. Per quanto riguarda i ruoli manageriali nel resto dell’azienda abbiamo una percentuale di 42/58 donne/uomini, percentuali notevoli, considerando che le problematiche di genere e LGBTQIA+ sono punti di partenza veramente importanti all’inizio del percorso verso la D&I.

Creare un luogo di lavoro inclusivo, essenzialmente significa modificare il comportamento e le convinzioni radicate nelle persone e questo processo richiede tempo. Quando si intraprendono conversazioni che spesso possono risultare ‘scomode’, è importante adottare un approccio graduale, per dare a tutti la possibilità di abituarsi a quella naturale sensazione di disagio che scaturisce quando si trattano certi argomenti. Partendo da questa base per noi è molto più facile esaminare altre dimensioni della diversità, come razza, disabilità e neurodiversità, ed è su questo che vogliamo focalizzarci nei prossimi dodici mesi.

La diversità ovviamente è importante sul luogo di lavoro, ma che differenza pensi che faccia per gli ospiti?

I nostri ospiti provengono da tutto il mondo e, secondo me, per loro è veramente importante rispecchiarsi nel personale che incontrano in hotel. I team caratterizzati dalla diversità sono molto più capaci di offrire un’esperienza leggendaria proprio perché conoscono e comprendono il contesto culturale dei paesi originari degli ospiti. Se non si conoscono le altre culture e tradizioni è facile commettere errori nelle piccole cose, ma sono proprio i dettagli che possono avere un impatto enorme sull’esperienza dell’ospite. Se il nostro personale non solo cerca di comprendere le altre culture, ma ha avuto esperienze in ambienti multiculturali in prima persona, allora riuscirà a creare negli ospiti la sensazione di aver vissuto un’esperienza assolutamente esclusiva e personalizzata.

C’è stato un momento nella tua vita che ha fatto nascere la tua passione per tutto questo?

Sì, è stato grazie a mio fratello Gary, nato con la sindrome di Patau, una patologia rara, che provoca molte disabilità fisiche, intellettuali e di apprendimento. Avevo tre anni quando è nato e da allora mi sono sempre presa cura di lui. Da bambino il sovraccarico sensoriale spesso gli provocava crisi nervose in pubblico ed erano momenti molto difficili, dato che lui è non verbale. Ricordo che mentre cercavo di confortarlo spesso i passanti borbottavano “maleducati” o mi dicevano di smettere di litigare con lui; e questo mi faceva molto male. Con il passare del tempo mi sono resa conto che non si trattava di odio ma di ignoranza, e io volevo creare questo cambiamento mella mentalità delle persone.

Credo che sia stato questo il ‘momento’ in cui è nata la ma passione, che però è stata consolidata da altri episodi della mia vita. A 15 anni mi hanno diagnosticato depressione e ansia. Sono difficoltà che ho ancora oggi e che forse continuerò ad avere per sempre. Appena ventenne ho iniziato a scrivere un blog sui diritti delle donne e in quel momento mi sono resa conto di essere bisessuale, però ho fatto coming out diversi anni dopo, principalmente perché provengo da una famiglia cattolica irlandese tradizionale.

Penso che il filo conduttore tra tutti questi episodi sia il fatto che ognuno di essi abbia alimentato in me la sgradevole consapevolezza che il mondo sia spesso ingiusto, in quanto favorisce alcuni e marginalizza altri. Ho quindi sviluppato la volontà di cambiare tutto questo e contribuire a creare un mondo al quale potessimo appartenere io, mio fratello e tutti quelli che vengono considerati ‘diversi’. Credo che la società in generale dovrebbe dimostrare maggiore empatia e comprensione nei confronti delle altre persone. Credo che più opportunità abbiamo di interagire con persone che vivono in maniera diversa da noi più possiamo imparare; più accetteremo queste differenze e più sapremo manifestare empatia.

Quali sono le sfide più importanti che continui ad affrontare?

Il panorama di diversità e inclusività è in continua evoluzione e ci saranno sempre nuove sfide. Secondo me, la difficoltà principale resta sempre quella di smantellare i pregiudizi inconsci insiti nelle persone. È sempre molto difficile parlare di pregiudizio a causa delle accezioni negative che spesso questa parola assume. Infatti, in genere crediamo che se abbiamo dei pregiudizi non siamo brave persone, invece i pregiudizi sono un riflesso della nostra umanità; tutti ne abbiamo in modo più o meno pronunciato, me compresa. I pregiudizi emergono in maniera inconsapevole, ma hanno ripercussioni sulle decisioni che prendiamo e sul nostro modo di interagire con gli altri.

Può essere difficile riuscire a parlare con le persone in maniera costruttiva per aiutarle a prendere coscienza dei propri pregiudizi inconsci, perché la paura è quella di mettere in dubbio il proprio senso di identità di ‘brave persone’. La conseguenza spesso è che le persone si difendano rifiutando le conversazioni che considerano spiacevoli, e questo chiaramente non aiuta. Il pregiudizio è un istinto innato nell’essere umano ed è integrato nel cervello; non è possibile spegnerlo, ma è importante averne consapevolezza e imparare quelle tecniche che ci aiutano a fermarci e chiederci: “La decisione che sto per prendere è influenzata dai miei pregiudizi inconsci o no?”. I pregiudizi diventano un problema quando rappresentano una barriera per la diversità e l’inclusività.

Hai assunto il tuo ruolo da poco. Come ti è sembrato finora?

Credo di essermi ambientata! Sto ancora cercando di costruirmi una visione a 360 gradi della nostra organizzazione ma, per esempio, abbiamo fatto molto in ufficio durante il Black History Month. Educare, Comunicare e Celebrare sono i tre pilastri sui quali cerchiamo di creare un luogo di lavoro basato su diversità e inclusività. Per ‘educare’ i colleghi a familiarizzare maggiormente con l’argomento, nella nostra mensa abbiamo appeso un pannello con la cronologia della ‘Black British History’, per consentire a tutti di imparare di più su questo argomento. Abbiamo anche suggerito sei libri di diversi generi letterari scritti da autori britannici di colore, abbiamo incoraggiato i colleghi ad acquistare nelle aziende con proprietari di colore e abbiamo anche appoggiato le banche alimentari di Norwood e Brixton. Nel frattempo, stiamo pianificando iniziative analoghe da implementare in tutta la collezione.

Secondo te Dorchester Collection affronta difficoltà diverse nelle varie parti del mondo?

Decisamente sì. Dato che diversità e inclusività sono un percorso, esattamente come accade per gli individui e le organizzazioni, ogni Paese si trova ad un punto diverso di questo ‘cammino’. Negli ultimi due anni, il movimento Black Lives Matter ha davvero messo in primo piano i temi di razza e razzismo in molti Paesi, ma in alcune parti del mondo la società non è ancora arrivata a questo punto del ‘percorso’. Per esempio, i diritti delle donne, in particolar modo il gap remunerativo, in alcuni casi sono entrati nei dibattiti a livello nazionale solo di recente. In alcuni Paesi si lotta ancora per fare riconoscere i diritti LGBTQIA+ e anche quando questi gruppi sono protetti da leggi sulla parità, in alcune società può creare ancora disagio affrontare conversazioni su problematiche divisive come razza o religione. Per questo motivo il nostro approccio nei confronti della diversità e dell’inclusività sarà diverso a seconda dell’hotel e del Paese in cui ci troviamo. Non ci sarà mai una soluzione unica, perché ogni luogo ha la sua cultura, le sue norme e specifiche problematicità che vanno prese in considerazione.

Qual è il prossimo obiettivo che ti sei stabilita?

Attualmente sto lavorando a una strategia sulla diversità, sull’appartenenza e sul ‘benessere’ dei dipendenti in modo da cominciare a stabilire alcuni obiettivi specifici al fine di misurare il nostro progresso nei confronti di questi temi. Your View è un ottimo strumento per la raccolta dei dati perché ci offre la possibilità di capire su cosa concentrare le nostre iniziative future.

Nei nostri hotel abbiamo tanta diversità. Questa è una cosa fantastica, e mi piacerebbe vedere il personale di tutti i background progredire verso ruoli dirigenziali o nell’ufficio corporate. Aumentare la diversità sarà un’iniziativa importante che comporterà un’analisi delle nostre pratiche di assunzione e di Your Plan ed anche una potenziale collaborazione con organizzazioni esterne.

L’educazione alla diversità sarà un’altra iniziativa chiave a livello interno. L’anno prossimo prevediamo di lanciare una nuova iniziativa Belonging a DC, che si svolgerà a ritmo trimestrale, con l’obiettivo di andare oltre la consapevolezza generale delle varie dimensioni della diversità (categorie protette) ed esplorare approfonditamente le diverse identità esistenti nel nostro luogo di lavoro, al fine di alimentare l’empatia e la comprensione reciproche. Le quattro campagne trimestrali saranno imperniate ognuna su una specifica dimensione della diversità (genere, razza/etnia, LGBTQIA+, disabilità). Al cuore di ciascuna campagna ci saranno due elementi di spicco che guideranno le nostre iniziative che hanno il fine ultimo di Educare, Comunicare e Celebrare. L’obiettivo di questi elementi è quello di facilitare una conoscenza e una comprensione più approfondite dell’argomento trattato e allo stesso tempo aiutare a guidare conversazioni e riflessioni sulle specifiche connotazioni che caratterizzeranno ciascuna campagna.

Cosa ti piace fare quando non lavori?

Mi piace molto stare a casa. Sono introversa per natura e durante il fine settimana mi piace rimanere a casa con il mio compagno Tom a curare le mie piante o cercare di fare amicizia con i gatti dei vicini. Mi piace leggere, ascoltare musica e guardare per intero le serie poliziesche di Netflix. Mi interessano molto anche l’astrologia e la dimensione mistica in generale. Mi piacciono i cristalli e i tarocchi, fare yoga e tenere un diario. Amo molto la natura e cerco sempre di uscire per una passeggiata nel fine settimana; per me è un momento di riflessione che contribuisce alla mia stabilità interiore e, come sanno tutti gli introversi, è importantissimo per ricaricarsi.